martedì 31 ottobre 2017

La doppia natura della Baba Yaga

La Baba Yaga di Ivan Jakovlevič Bilibin (1902) 
Non c’è bisogno di essere esperti in folklore slavo per associare il nome “Baba Yaga” (si legge "baba jagà) alla figura di una fattucchiera vecchia, brutta e perfino cannibale. Forse non abbiamo letto le storie in cui questa terribile vecchietta senza età è l’antagonista dell’eroe o dell’eroina, magari non conosciamo le origini della leggenda, né le caratteristiche del personaggio, ma, se l’abbiamo sentita nominare almeno una volta nella nostra vita, sappiamo per certo che si tratta di una strega spietata.

Questa è, infatti, la definizione che accompagna da secoli la Baba Yaga. La parola strega, però, nasconde molti significati, spesso contraddittori e ambigui, risultato di un lento processo storico e religioso di ostracismo e demonizzazione che mirava a cancellare gli antichi elementi pagani in favore della nuova religione dominante, ovvero il Cristianesimo.

Un processo che accaduto spesso nella Storia, quando il potere in ascesa o dominante ha travolto quello ormai in declino, relegandolo ai margini della nuova società e subito anche dalla Baba Yaga.

Stavolta però, ci troviamo di fronte a un caso ancora più particolare, data la duplice natura, benigna e maligna, di questa strega. La Chiesa non poteva accettare un simbolo pagano di cui, per giunta, non era mai stata rifiutata l’essenza malvagia. Gli abitanti delle regioni che oggi sono diventate Federazione Russa, infatti, cercavano di “tenersi buoni” gli spiriti negativi, di accontentarne le richieste, con lo scopo di renderli più amichevoli.

Nell’antica Rus’ di Kiev, cristianizzata nel 988, il bene e il male convivevano, sovrapponendosi senza soluzione di continuità. Tutti, dai contadini ai nobili, riconoscevano la dualità della natura e sapevano di non poterla respingere, poiché non può esistere il bene senza il suo contrario e viceversa.

Ogni cosa esistente recava in sé la luce e l’ombra ma, ovviamente, la Chiesa non avrebbe mai tollerato che, in qualche modo, si cercasse un “dialogo” con ciò che era considerato maligno. Il male doveva essere nettamente separato dal bene e nessuna via per il compromesso era percorribile.

Nella cultura orale di quelle terre allora considerate lontane e misteriose la Baba Yaga
Vasilisa fuori dalla casa della Baba Yaga (Bilibin, 1902)
rappresentava un bel problema che si poteva risolvere solo marcando le caratteristiche negative del personaggio, fino a far dissolvere quelle positive.

Una vecchia orribile, dall’aspetto emaciato, scheletrico, che si nutre di bambini, viaggia su un mortaio che guida attraverso un pestello, una specie di “timone”, cancella le sue tracce e i sentieri con una scopa fatta di betulla d’argento o di capelli umani a seconda delle versioni della leggenda.

Non solo: la Baba Yaga vive nella foresta, ma nessuno sa con precisione dove sia la sua casa, né quale sia il sentiero per arrivarci. La sua dimora altro non è che una “izba”, cioè una capanna contadina a una stanza, tipica delle regioni rurali russe, fatta con tronchi di pino o abete rosso e un tetto di paglia.

Questo tipo di costruzione è facilmente riconoscibile dall’aspetto “tondeggiante” che le conferiscono proprio i tronchi interi da cui è composta. La parola “izba”, nel russo antico, indica la stufa, dunque il cuore della casa, il focolare che riscalda.

La casa della nostra Baba Yaga può anche spostarsi, visto che poggia su zampe di gallina ed è fatta con ossa umane. Perfino la serratura è una bocca con i denti e all’interno non vi sono lampade a illuminare l’ambiente, bensì occhi umani.

Gli studiosi hanno ipotizzato che le zampe di gallina e la stessa “izba” della strega siano l’emblema della pira su cui gli slavi bruciavano i corpi dei defunti.

La Baba Yaga simboleggia la natura selvaggia, ignota, la conoscenza che da essa deriva e la sua casa non si trova in nessun luogo conosciuto, ma in una sorta di altra dimensione, al confine tra il mondo reale e quello degli spiriti. Per questo motivo la fattucchiera può essere paragonata a una sorta di Caronte al femminile (con le dovute distinzioni), una donna che vive al di fuori del tempo, al confine tra il passato e il futuro misterioso.

È la personificazione della foresta nella quale è possibile perdersi e non fare mai più ritorno, è depositaria del sapere che molti uomini bramano e altri temono. Una conoscenza femminile, quindi più pericolosa.

La Baba Yaga, però, sa anche essere buona, a patto che l’eroe giunto fino alla sua izba per chiederle aiuto si dimostri rispettoso nei suoi confronti e abbia un animo puro che nessuna strega può manipolare.

In questo senso l’anziana rappresenta sia il mentore dell’eroe stesso, ovvero la maestra che lo consiglia, lo prepara ad affrontare le prove sul suo cammino, sia la “sacerdotessa” che gli dona gli strumenti necessari per compiere un viaggio iniziatico la cui meta è la maturità.

Insomma l’eroe deve dimostrarsi degno di diventare uomo e meritarsi il sostegno della strega, la quale non ama né le persone invadenti, né quelle troppo ossequiose. Tutti noi, nella vita, incontriamo tante Baba Yaga: sono le persone che ci indicano la via, o che ci aiutano a comprendere il mondo, ma possono essere anche le prove che affrontiamo ogni giorno, la consapevolezza della realtà che conquistiamo ogni volta che facciamo esperienza.

La Baba Yaga è la Madre Terra che, con la giusta severità, ci sprona ad agire, a imparare e a guardarci intorno con occhi curiosi e attenti, evitando i pericoli, costringendoci a usare la nostra testa per riflettere.

Per lei la morte non è che una rinascita, il buio il preludio della luce. Si trova in mezzo a noi, eppure non la vediamo. C’è e non c’è nello stesso tempo, sta a noi cercarla con cuore e mente aperti. La Baba Yaga è la nostra coscienza che non fa sconti, ma ci aiuta a risollevarci quando cadiamo.

Forse è in ognuno di noi e la sua figura è molto potente proprio perché costituita da molteplici sfaccettature, da diversi “volti”, ora spaventosi, ora benevoli, come l’essenza umana, così mutevole, complessa, indefinibile e, per questo, inafferrabile e affascinante.


Bibliografia

Klein Erica, “Ritratti di Russia al femminile. Leggenda, letteratura, cronaca”, Pendragon, 2014;

Propp Vladimir, “Morfologia della Fiaba e le radici storiche dei racconti di magia”, Newton, 1992;

Pinkola Estés Clarissa, “Donne che corrono coi lupi. Il mito della donna selvaggia”, Sperling & Kupfer, 2016.

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